Dal 16 al 19 Gennaio si è svolto a Roma, presso la Domus Mariae, il Convegno Assistenti nazionali, regionali, diocesani e parrocchiali di Azione Cattolica. Ho vissuto questo appuntamento quale assistente ACR diocesano di Teano-Calvi.
Personalmente ho sperimentato, nell’incontrare gli assistenti provenienti da tutta Italia, un grande anelito alla fraternità, una dimensione molto aperta e differenziata, desiderosa di confrontarsi su temi importanti che riguardano l’Associazione ma anche il presente e il futuro della Chiesa nel suo insieme.
Tante le persone e i relatori intervenuti durante questi giorni e, inoltre, la gioia della presenza del nostro Presidente Nazionale Giuseppe Notarstefano e dell’Assistente Ecclesiastico Generale, S.E. Mons. Gualtiero Sigismondi.
La novità bellissima di questo evento è stata la possibilità di ascoltare la Parola di Dio, durante le lodi mattutine, spezzata, direi in maniera molto profonda e significativa, dai laici, segno di una Chiesa in cui l’annuncio non è chiamata di un gruppo ristretto di persone ma è il segno che contraddistingue ogni cristiano, ogni battezzato.
Al centro del dibattito due temi, che interrogano noi che svolgiamo il compito di assistenti di Azione Cattolica, l’Associazione stessa e la Chiesa in generale, soprattutto in un tempo come quello di oggi che è stato segnato profondamente dall’esperienza del Covid: l’umanità del presbitero/Assistente e la sua relazione all’interno del presbiterio e con i laici, nella comune chiamata all’annuncio del vangelo.
Si è evidenziata la forte necessità di riconoscere la profonda umanità del sacerdote, nelle sue potenzialità e risorse, ma anche nei suoi aspetti di fragilità e debolezza, cosa, quest’ultima, che non deve però derogare da una assunzione di responsabilità e da un impegno per una possibile integrazione, tendenzialmente armoniosa, di tutti gli aspetti della persona. Importante e necessario anche prendere consapevolezza che l’umanità dal sacerdote è sostenuta, supportata e trasfigurata dalla grazia del Signore.
Per quanto riguarda il secondo tema evidenziato, è risaltato, da parte di tutti, un bisogno di poter instaurare delle relazioni più profonde e significative con i propri confratelli, riconoscendo le reciproche difficoltà ed essendo consapevoli che non con tutti si può avere lo stesso tipo di rapporto. Quello che fa paura è la solitudine del sacerdote, molte volte alle prese da solo con tanti problemi burocratici, pastorali e personali.
Molto bella è stata la condivisione sul rapporto, nella Chiesa, tra presbiteri e laici, che riguardava più da vicino, anche se non esclusivamente, l’Associazione. Si è ritenuto opportuno ribadire, da parte di tutti, come sia indispensabile che i laici assumano consapevolezza di essere, con i sacerdoti – e sullo stesso piano, anche se con funzioni e caratterizzazioni diverse – e con tutto il popolo di Dio, annunciatori del Vangelo e si è riconosciuto come non sempre noi sacerdoti diamo giusto rilievo a questo aspetto, trovando le condizioni giuste perché i laici si sentato partecipi dell’annuncio.
Tra le paure con le quali alcuni accompagnavano quest’ultimo atteggiamento, c’è quella che gradualmente i sacerdoti possano venire a perdere la loro funzione specifica, cedendo campo ai laici anche in aspetti specifici del ministero sacerdotale, così come sta avvenendo, in maniera più diffusa, in altri paesi.
Molti sono stati coloro che riportavano esempi di esperienze e relazioni veramente edificanti e di vero e proprio sostegno/supporto reciproco con i laici. Ci si è interrogati poi, su come lo stile AC possa essere modello per una chiesa che vuole cambiare, dove l’annuncio viene dalla comunione e da una corresponsabilità, nell’annuncio, tra presbiteri e laici. L’Associazione, infatti, è costituita spesso da organi rappresentativi nei quali una decisione è frutto di confronto e condivisione e nei quali il sacerdote accompagna e sostiene, con la luce del Signore, tutto il gruppo, ma non ne è colui che è a capo, che prende decisioni e ha potere elettivo.
Il sogno, in definitiva, è quello di una chiesa aperta alle istanze di rinnovamento provenienti dal Concilio Vaticano II, che non hanno ancora trovato completa attuazione; una chiesa non del modello “un uomo solo al comando” e non tesa al riconoscimento e alla lotta per i propri confini; una chiesa in cui certamente ci siano differenziazioni e non confusioni di ruoli e di ministeri, ma dove al contempo risalti una condivisione di responsabilità e annuncio, condivisione di vita e di pastorale tra sacerdoti e comunità, che vada oltre i rigidi confini parrocchiali e le competizioni sterili tra opere e iniziative delle singole comunità.
Una Chiesa, ci sembra bello e auspicabile dire, modello AC.
Don Fabrizio Delgado, assistente diocesano ACR